LA MONETAZIONE
Le monete Romane
Risultato di anni di studio e di ricerca, la collezione delle monete dell’ Impero Romano offre agli appassionati l’ opportunità di possedere una testimonianza preziosa di quella gloriosa epoca. Collezionate in tutto il mondo da più di mille anni, le monete dell’ Impero Romano rappresentano la massima espressione della numismatica classica.
Gli esemplari da noi proposti sono attentamente selezionati dagli esperti Bolaffi, che ne verificano l’autenticità e il valore, nonché la legittima provenienza legalmente garantita.
La continua ricerca sul mercato nazionale ed internazionale e la nostra lunga esperienza ci permettono di offrire prestigiose monete a ogni livello di spesa, corredate – per gli esemplari più importanti – dall’indispensabile certificato fotografico di qualità.
La moneta d’oro tipica della serie romana imperiale non ha un nome specifico, ma nelle fonti storiche pervenuteci viene genericamente definita nummus aureus, “moneta d’oro”. La terminologia numismatica ne ha da secoli consacrato il nome in aureo. La genericità del nome ha un significato profondo: l’aureo fu per oltre tre secoli una sorta di lingotto d’oro monetato, il cui valore era determinato dal peso dal momento che, anche nei periodi di maggiore decadenza, fu coniato utilizzando tondelli d’oro al titolo di 960, il massimo che la tecnica di raffinazione dei metalli consentisse. A partire da Costantino il nummus aureus prese il nome di solidus, ossia “solido, compatto, massiccio, consistente” e infatti, mutato l’aspetto e ridotto il peso rispetto all’aureo precedente, il materiale utilizzato per coniare il solido continuò ad essere oro puro, cioè appunto massiccio, secondo il massimo grado di purezza allora possibile.
La moneta d’oro rappresentava il corrispettivo per le transazioni più importanti: proprietà immobiliari, bestiame e partite di merce all’ingrosso. La maggioranza della popolazione dell’epoca poteva vivere anche l’intera vita senza mai possedere una sola moneta d’oro.
Per la moneta d’argento i nomi sono molti, ma il primo e principale è nummus denarius – più semplicemente denarius – traducibile in “moneta da dieci”, denominata denaro nella tradizione numismatica. Il nome deriva dal suo valore, di dieci assi nelle origini repubblicane, essendo l’asse di bronzo l’unità di base del sistema monetario. In epoca imperiale il denaro, pur mantenendo quel nome, valeva in realtà sedici assi. Il suo peso si mantenne invariato con qualche oscillazione al ribasso fino all’inizio del III secolo d.C., mentre il materiale di cui era fatto, inizialmente argento al massimo livello di purezza possibile, già ai tempi di Nerone cominciò a contenere una parte sempre più consistente di altri metalli fino a raggiungere la metà circa. Con la riforma di Caracalla gli fu affiancato l’antoniniano – dal nome dello stesso Imperatore, che si chiamava Antonino – di valore doppio. Ben presto tuttavia anche l’antoniniano divenne di bronzo, con un contenuto d’argento insignificante. Nell’ultimo periodo dell’Impero sopravvisse una piccola moneta d’argento di peso molto variabile detta siliqua.
La moneta d’argento veniva usata per remunerare le prestazioni d’opera più professionali, quali ad esempio quelle dei militari e degli artigiani; pur rappresentando un traguardo per gli strati sociali più bassi, aveva una circolazione molto intensa e con essa si acquistavano capi di vestiario, utensili e oggetti per la vita domestica, nonché generi alimentari di pregio.
La tradizione numismatica ha da sempre genericamente indicato come “di bronzo” le monete di metallo non prezioso, realizzate con una grande varietà di materiali, che fanno riferimento al rame puro e a tutte le sue leghe, in particolare a quella con stagno e piombo – il bronzo propriamente detto – o zinco, all’epoca denominata oricalco per il colore giallo che la assimila all’oro, oggi chiamata ottone.
In epoca imperiale la moneta di bronzo fondamentale fu il sesterzio, in latino sestertius, nome che deriva per elisione da semis tertius, in quanto il suo valore era pari a due assi e mezzo. A partire da Augusto e fino alla seconda metà del III secolo d.C., fu coniato in oricalco e rappresentò la moneta di maggiore uso in tutto l’Impero.
La progressiva svalutazione del denaro d’argento rese anacronistica la coniazione del sesterzio come suo sottomultiplo e si avviò, anche per la moneta di bronzo, un periodo convulso con emissioni scoordinate e prive di rapporti certi con il resto del sistema monetario: nacquero nomi come follis, maiorina e centennionale, la cui corrispondenza alle monete reali è molto dubbia, tanto che alcuni studiosi preferiscono definire le monete di questo periodo con il dittongo Ae – abbreviazione di aes, “bronzo” – seguito da un numero, variabile fra 1 e 4, che ne individua il diametro.
Se è vero che le monete d’oro rappresentano il massimo livello di espressione artistica della romanità in campo numismatico, è altrettanto vero che i sesterzi, per effetto del diametro molto maggiore, offrirono agli incisori occasioni di rappresentare sia i ritratti, sia le tipologie dei rovesci con maggiore aderenza alla realtà e con una dovizia di particolari talora sorprendente e fonte di informazioni preziosissime su tutti gli aspetti della civiltà romana.
Un altro aspetto caratterizza e impreziosisce i sesterzi: la patina, cioè l’ossidazione naturale cui sono soggetti il rame e tutte le sue leghe, ma non l’oro e solo in misura minore l’argento. A seconda delle caratteristiche del terreno nel quale un sesterzio ha trascorso i secoli che lo separano dal suo ritrovamento, la sua superficie assume colorazioni diversissime, che vanno da tutte le sfumature del verde, al rosso scuro, al marrone, fino al nero. Una bella patina spesso vale più della moneta sottostante ed è una testimonianza inoppugnabile di autenticità.
La monete di bronzo erano ovviamente destinate alla circolazione minuta e passavano di mano più volte al giorno; salario giornaliero degli operai comuni, servivano per acquistare generi di prima necessità come gli alimenti. Questa vastità di circolazione, estesa a ogni strato sociale, fu sempre abilmente sfruttata dal potere imperiale, che trovava nei sesterzi un formidabile strumento di propaganda e di creazione del consenso, tanto che il sesterzio può essere definito un vero e proprio mezzo di comunicazione di massa in un mondo nel quale non ne esistevano altri.